Sei come la Nike
MARIA PAWLIKOWSKA
Sei come la Nike di Samotracia a Parigi
o insonne amore:
anche ferito, con lo stesso ardore
tendi le braccia mutilate e voli.
(da Baci, 1926 - Traduzione di Marina Marsano Bergey)
La poetessa polacca Maria Pawlikowska (1894-1945) canta
l’amore insonne che non si rassegna alla fine, al diniego, che resiste ai colpi di vento
che il destino gli ha inferto e continua a vivere, per quanto sia
mutilato e ferito, come la Nike di Samotracia, celebre statua greca dei primi decenni del II
secolo avanti Cristo (200-180 a.C.), conservata al Louvre: senza braccia, senza testa,
eppure ancora così bella da togliere il fiato con il suo panneggio "bagnato dal vento", con l’ala superstite, con la
sensazione di movimento eternato in un momento, che l'artista – forse Pitocrito - seppe conferirle.
Oggi la Nike fa bella mostra di sé al Louvre, dove giunse dopo essere stata
ritrovata su un’isola dell’Egeo, Samotracia appunto, nel 1863. L’opera
rappresentava forse uno straordinario donativo o più precisamente un’offerta commemorativa al santuario dei Grandi
Dei, i cabiri, per una vittoria navale ottenuta probabilmente a Rodi nel
190 a.C. La posa della statua riproduce fedelmente l’immagine monetale
dei conii di Demetrio Poliorcete.
La statua è collocata in punto cruciale
del museo; essa si erge, infatti, maestosa in cima allo scalone progettato da
Hector Lefuel, che collega la Galerie d’Apollon e il Salon Carré.
La statua, rinvenuta priva di testa e gambe, rappresenta la giovane dea
alata, figlia del titano Pallaente e della ninfa Stige, mentre si posa sulla prua di una nave da
battaglia. La figura è come "bagnata" da un vento impetuoso mentre si posa, atterrando dolcemente, sulla prua della nave; essa si presenta
protesa in avanti, quasi a contemplare il luogo che si disponeva davanti ai sui occhi al suo atterraggio, con un panneggio mosso che aderisce strettamente al
corpo e mette in risalto la sua anatomia. Il gioco chiaroscurale delle
pieghe del peplo valorizza il risalto dello slancio e crea effetti di
luce vibrante. La dea posa con leggerezza il piede destro sulla
nave, mentre per il fitto battere delle ali, il petto si protende in
avanti e la gamba sinistra rimane indietro. Alcuni frammenti rimasti
delle mani e dell’attaccatura delle spalle fanno supporre che il braccio
destro fosse abbassato, probabilmente a reggere il pennone appoggiato alla
stessa spalla, mentre il braccio sinistro fosse, invece, sollevato, con la mano
aperta a compiere un gesto di saluto o a sorreggere un ramo di palma, simbolo della vittoria e suo attributo classico.
I rilevamenti hanno permesso di chiarire come il monumento fosse stato concepito e disposto
obliquamente in un’esedra rettangolare situata all’estremità di un
terrazzo a lato di una collina. La vista normale della statua è dunque
sul tre quarti sinistro, come attesta la tangibile e visibile disparità di
completamento tra i due lati della statua – quella del lato diritto è, infatti, meno curato.
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